curiosità stroriche padovane  1°

GIOVANNI DEGLI EREMITANI

GIOVANNI degli Eremitani (Giovanni da Padova). - Non si conosce né la data né il luogo di nascita di questo frate, uno dei maggiori innovatori della cultura architettonica e urbanistica padovana a cavallo tra il XIII e il XIV secolo.

Infatti, quel "da Padova", che peraltro compare nei documenti più tardi, sembra riferibile non tanto alla provenienza di G., quanto alla sua presenza in quella città. I documenti coprono circa trent'anni dell'attività del frate e sono stati in gran parte pubblicati nel 1791 nella imponente Storia della Marca Trevigiana di Giovanni Battista Verci. Qui, accanto al nome compare quasi sempre l'appellativo di ingegnere, che racchiudeva le competenze di architetto urbanista, costruttore di fortificazioni e strade, idraulico di ponti e progettista di bonifiche. È importante, quindi, tenere presente sin dall'inizio l'eccezionale bagaglio di conoscenze tecniche, elogiate già dai suoi contemporanei, che G. dovette maturare ben presto all'interno dello sperimentalismo tipico degli ordini mendicanti.

Il primo documento noto che riguarda G. è del 1289, quando a Padova, in veste di testimone per una divisione testamentaria, è appunto definito ingegnere e risulta già piuttosto famoso. Milizia, utilizzando questo argomento, supponeva che egli fosse l'autore dei precedenti palazzo del Podestà e palazzo degli Anziani.

Tale ipotesi è stata accolta solo da una parte della critica, tanto più che una lapide originale sul palazzo del Podestà cita espressamente un altro ingegnere: Leonardo Bocaleca. Per quanto riguarda il palazzo degli Anziani, non esistono documenti che possano indicarne un probabile autore.

Nel 1295, G., proprio insieme con Leonardo Bocaleca, sovraintese alle fortificazioni del Pizzone e di Castelbaldo dove, in brevissimo tempo, dovevano essere costruiti una torre di difesa e un ponte sull'Adige.

Nel 1302, secondo Giovanni da Nono (un giudice che scrisse un'accurata descrizione di Padova nella prima metà del XIV secolo: Fabris, 1939), gli venne affidata la costruzione del non più esistente fondaco delle Biade.

La costruzione del fondaco prevedeva preventivamente la demolizione di due preesistenti edifici comunali. Questo abbattimento era strumentale a una riformulazione anche in chiave monumentale del centro cittadino. Il fondaco, oggi valutabile solo sulla base di incisioni e fotografie anteriori al 1901, rimane comunque l'edificio fondamentale per l'attribuzione a G. di altre opere: era costituito da un portico, quasi certamente voltato al suo interno, a dieci arcate sorrette da pilastri altissimi, che rivelava nell'insieme una particolare attenzione per le soluzioni classiche, poi ribadita nel portico della chiesa degli Eremitani, pensato in funzione di un articolato nodo urbanistico che ruotava intorno all'antico decumano minore.

Nel 1306, G. cominciò i lavori per il suo intervento più famoso; infatti, nel quadro della raggiunta potenza economica di Padova, il vecchio palazzo della Ragione, costruito sul finire del secondo decennio del Duecento, non era più attuale, sia dal punto di vista della capacità di rappresentanza dell'edificio, sia sotto l'aspetto funzionale.

Seguendo le precise indicazioni di Giovanni da Nono, i lavori di rivestimento, innalzamento e copertura dovettero seguitare praticamente senza interruzione fino al 1309. Il progetto prevedeva di lasciare intatta la preesistente struttura muraria perimetrale; fu, infatti, abbattuta solo la vecchia merlatura, e, a partire dalla sottostante cornice, cominciò l'innalzamento delle mura, che furono costruite con un graduale aumento di spessore e di curvatura verso l'interno. A metà circa della sopraelevazione fu innestata una mensola, funzionale, all'interno, per l'impostazione dei centosedici costoloni in legno curvato, che avrebbero costituito la famosa copertura a "carena di nave rovesciata"; le spinte laterali vennero eliminate con dodici tiranti di ferro dorato. Esternamente G. concepì una seconda calotta, distanziata da quella interna di circa 60 cm, sulla quale furono aperti degli abbaini per illuminare l'interno della sala, che vide raddoppiati i costoloni, in modo da poter reggere la rivestitura in lastre di piombo.

Così realizzata, l'intera nuova copertura del palazzo era autoportante, tanto che i muri interni del salone, abbattuti definitivamente dopo l'incendio del 1410, furono ridotti a bassi tramezzi, lasciati solo per dividere i singoli spazi dove si svolgevano i diversi uffici del Comune. Il vecchio nucleo del palazzo venne poi ulteriormente dilatato con la costruzione delle logge che affacciavano sulla piazza delle Erbe e su quella della Frutta. Il risultato finale dell'opera di G. fu un vero e proprio unicumnell'architettura civile italiana degli inizi del XIV secolo. La volumetria straordinariamente espansa del salone, molto probabilmente già pensata per l'interno in relazione alla decorazione pittorica affidata in parte a Giotto, e il particolare rapporto interno-esterno dei loggiati segnarono un passaggio importante rispetto a soluzioni di tipo già rinascimentale. Il valore dell'intervento di G. fu subito ampiamente riconosciuto dai suoi concittadini, stando a quanto le cronache padovane raccontano, e la singolarità del progetto fece ipotizzare già a Ongarello (Fabris, 1936-37) che il frate, avendo a lungo viaggiato anche in paesi molto lontani, avesse preso spunto da costruzioni viste in India e fissate in un suo taccuino. Su questa ipotesi anche la più recente storiografia si è divisa tra coloro che non trovano inaccettabile l'idea di un viaggio in Oriente di G., non bastando né l'architettura crociata, né quella veneziana per spiegare la singolarità dell'edificio padovano (Bettini), e gli studiosi che ritengono tale ipotesi una pura suggestione, trovando, invece, convincenti i raffronti tra il salone e le architetture sacre e profane della Francia atlantica (Dellwing).

Questi confronti sembrano in effetti essere supportati anche dalla copertura ad arco carenato che G. impiegò nella chiesa degli Eremitani e che trova alcuni prototipi sempre nella stessa zona francese. Ambedue le posizioni critiche sono comunque concordi nel ritenere che G. compì sicuramente numerosi viaggi.

Giovanni da Nono e gli altri cronisti coevi affermano che G. chiese e ottenne, come unico compenso per i lavori del palazzo, il legname e i coppi della precedente copertura per potere, con questo materiale, completare la chiesa degli Eremitani.

La volta a carena, il secondo singolarissimo lavoro di altissima carpenteria progettato dal frate e distrutto, come gran parte della chiesa, nel 1944, tenne conto del rapporto in pianta tra lunghezza e larghezza che rendeva eccessivamente allungata la forma della chiesa. Infatti, partendo dall'ingresso, a circa tre quarti della navata, la copertura diventava trilobata e nell'ultimo quarto si abbassava, correggendo otticamente le anomale proporzioni dell'edificio. Insieme con i lavori di copertura, G. dovette concepire anche la loggia di facciata; questa fu pensata secondo una particolare visione angolare, che rispettava il principale punto di vista di chi giungeva percorrendo l'antico tracciato viario. Venne perciò lasciato libero e più visibile degli altri il pilastro angolare di destra, che diventò l'obbligato punto di convergenza delle assi visive dell'intera facciata della chiesa, a ulteriore prova di come ogni progetto di G. si inserisse in una più ampia dimensione urbanistica.

Oltre al palazzo della Ragione e alla chiesa degli Eremitani (entrambi gli edifici come è noto ricostruiti seppur in maniera assolutamente fedele agli originali), di G. non rimangono che i documenti a lui relativi. Da questi si deduce che fu impegnato soprattutto nella veste di urbanista e ingegnere civile per tutto il territorio sottoposto a Padova. Già nel 1307 venne nominato sovrintendente ai lavori per la strada vicentina insieme con Benvenuto della Cella, dell'Ordine dei minori, suo collaboratore anche in altre occasioni. Nel 1310, il podestà di Padova gli affidò il grandioso progetto di risistemazione del Prato della Valle, una zona acquitrinosa a sudovest della città.

Furono previsti il rialzamento della pista per il palio, la recinzione del grande prato paludoso e la costruzione di una trionfale porta d'accesso sul ponte delle Torricelle; tutti questi interventi non sono più valutabili dopo i lavori su vasta scala condotti sul sito nel XVIII secolo, sotto il dominio della Serenissima.
In un'attività decisamente senza sosta, che, anche in mancanza delle opere, lo indica con evidenza come il più esperto tra i pur valenti ingegneri di cui quella zona poteva disporre, va segnalata, tra il 1310 e il 1314, la sua presenza a Padova per numerosi interventi di tipo idraulico e a Treviso dove, con gli scavi della Brentella, creava una linea difensiva per questa città in lotta contro i Vicentini. Sempre nel 1314, e ancora con Benvenuto della Cella come collaboratore, diresse a Treviso, per incarico del Comune, i lavori di sistemazione del corso del Piave, dopo che il fiume, rompendo gli argini, aveva inondato la città e il territorio circostante. G. avrebbe dovuto inoltre occuparsi del consolidamento dell'ospedale cittadino di S. Maria, restringere il ponte sul fiume e compiere interventi di contenimento degli altri fiumi della zona, in particolare il Sile. È molto probabile che, vista la mole dei lavori, G. si trattenne a Treviso fino al 1316, e vi era sicuramente di nuovo nel 1318, quando una riformagione dei Trecento chiese al provinciale degli eremitani di Padova di intervenire in loro favore presso G. perché assumesse la direzione dei lavori per la costruzione di un ponte sul Piave. Da un documento, sempre di quell'anno, si sa che G. accettò e venne pagato con un grosso compenso giornaliero.
Questa è l'ultima notizia che lo riguarda; la totale assenza di documenti dopo il 1318, considerando la loro quantità notevole per i trent'anni di attività di G., ha fatto supporre che egli morì intorno a questa data.

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